Siccità, la Roma più arida di sempre è targata Paolo Virzì

Siccità
Valerio Mastandrea è uno dei protagonisti del corale "Siccità" di Paolo Virzì.

Tanti, troppi film sono ambientati a Roma, non è una novità. Ma quando un autore ne fa una distopia decidendo di prosciugarla per una crisi idrica, ovviamente giusto con effetti visivi, la cosa si fa più interessante. Mettiamoci pure un bel cast numeroso messo in scena con bilanciata coralità aggiunto alla firma di Paolo Virzì e il gioco è fatto. Almeno per le prime aspettative che si erano già viste dal trailer. Il regista livornese sbarca al Lido ufficialmente fuori concorso, inoltrandosi nelle spire del drammatico, non sempre generose con lui, ma lo spettacolare azzardo per Siccità ci conduce quasi dalle parti del disaster movie. E anche per la situazione di surreale stasi apocalittica nel cuore della nostra Italietta di sfruttatori e di sfruttati, nonché per il generoso parterre di attori, ricorda vagamente L’ingorgo di Luigi Comencini.

In questa Roma anche sui pavimenti delle case borghesi vivono di nascosto gli scarafaggi, Virzì ci tiene sempre a farci notare quanto la sete e la sporcizia diventino generali e trasversali in questa Roma in caduta libera. L’acqua è razionata e i vigili urbani inseguono i trasgressori che utilizzano l’acqua per lavare l’auto. Cosa vietatissima. Intanto l’estate torrida ha seccato il Tevere mostrandocelo vuoto come una specie di giallastra discarica abusiva.

Dai quartieri bene l’influencer Tommaso Ragno dispensa saggezze fioccanti di like e commenti col suo smartphone; l’autista Valerio Mastandrea attraversa invece la città e le manifestazioni violente alle prese con allucinazioni dal suo passato sedute sul suo sedile posteriore; Elena Lietti spreca acqua annaffiando di nascosto una piantina mentre messaggia febbrilmente; Silvio Orlando fa un carcerato di Rebibbia, sorridente pure se di lungo corso; e Gabriel Montesi è un borgataro che ricomincia a lavorare dopo un difficile periodo di stop.

Ma ci sono pure Vinicio Marchioni, Sara Serraiocco, Monica Bellucci, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Claudia Pandolfi e Diego Ribon (gustosissimo il suo serioso climatologo veneto salito agli onori delle cronache). Tutti personaggi necessari i loro, ognun col proprio peso narrativo, e perfettamente stilizzati. Pregio di una scrittura orizzontale che tesse una rete abilmente snodata dall’inizio alla fine lasciandoci esplorare i meandri di un mondo-Roma inedito e stupefacente. E, nella loro tragicità, prendendo vita dal calamaio di un commediografo, non mancano neanche di farci sorridere amaramente.

Giunge alla sua opera più matura Virzì, complice anche la pandemia Covid. Siamo di fronte a un affresco distopico e di costume perché racconta non proprio un futuro, ma un oggi diverso, possibile e speriamo non probabile, fatto di anime che sono tra noi. Forse è questo lo spirito del tempo colto da un regista come lui. Per questo Siccità è accostabile alla sua pièce teatrale Se non ci sono altre domande, ma pure al suo più celebre Ferie d’agosto. Entrambi corali, totali, e guarda caso, con Silvio Orlando.

Impressionano il dramma ambientale e sociale, il senso di sconforto e disorientamento di fronte alla privazione di acqua. H2O come elemento fondamentale della vita, dell’equilibrio e della sanità. Toglierla a un paese e alla sua capitale fa venire quasi le traveggole, come una visione di pre-Natività in mezzo al letto seccato del Tevere, quando uno dei protagonisti guarderà attonito un uomo simile a un San Giuseppe immigrato, in cammino a condurre con sé un asinello sul quale siede una ragazzina incinta. Insomma, Siccità vi potrebbe seriamente scoppiare dentro al cuore quando uscirà al cinema. Non all’improvviso, ma il 29 settembre.