Dolceroma, l’arte di intrattenere il pubblico

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Puro spettacolo: due semplici parole che sembrano riassumere perfettamente Dolceroma, il nuovo lungometraggio di Fabio Resinaro che, sospesa la collaborazione con il suo omonimo Fabio Guaglione, torna sul grande schermo nel suo primo progetto in solitaria. Dato che in questo caso di opera prima tecnicamente non si può parlare, il regista milanese non va nemmeno incontro agli errori di inesperienza che spesso caratterizzano gli esordi cinematografici, dimostrando fin dalle prime sequenze una ponderata coscienza stilistica, asservita a un unico grande scopo, ovvero intrattenere il pubblico.

Affinché ciò avvenga, Resinaro attinge anzitutto dal romanzo Dormiremo da vecchi di Pino Corrias. Spostato il focus su un unico personaggio (al contrario dei tre della storia originale), il film segue infatti le vicende di Andrea Serrano, un aspirante sceneggiatore milanese che passa le proprie giornate scrivendo faticosamente e guadagnando qualche soldo lavorando come ragazzo delle pulizie in un obitorio. Dopo aver pubblicato con gli ultimi risparmi un libro, la sua quotidianità è sconvolta da una telefonata di Oscar Martello, noto produttore romano, che lo convince a trasferirsi immediatamente nella capitale, promettendogli di realizzare tutti i suoi sogni. Le cose non saranno però così facili…

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Le disavventure dell’imprevedibile sognatore, adattate sempre dalla penna di Resinaro, travolgono lo spettatore, trascinandolo in una storia capace di unire le sempreverdi dinamiche del thriller all’italiana con quelle della commedia dal sapore internazionale, puntellando il tutto con un’estetica che richiama il poliziottesco anni Settanta, i film sulla mafia contemporanei e soprattutto quel meta-cinema tornato recentemente in voga grazie a Paolo Virzì e a Roberto Andò. Se Resinaro non inventa dunque nulla, l’intreccio di realtà tanto differenti quanto perfettamente miscelabili risulta assolutamente vincente.

La buona storia di partenza, che non è comunque esente da alcune forzature, si accompagna nel contempo a uno stile di ripresa volutamente sovraccarico. Facendo l’occhiolino alle politiche del videoclip, il regista sfrutta un montaggio sincopato, spesso segnato da ampie elissi, anche continue, restituite con semplici stacchi o con scorrimenti laterali. Le inquadrature, naturalmente votate a facilitare l’immedesimazione dello spettatore, giocano invece con i piani, con i tempi e anche con le prospettive di ripresa, ricorrendo ad esempio a sapienti campi lunghi dall’alto, a ralenti dall’eco videoludico e a graffianti rewind.

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All’ibridismo narrativo e allo stile pop, si aggiunge inoltre un buon cast sopra le righe, che si fonde con una storia che fa dell’eccesso il suo elemento cardine. Lorenzo Richelmy, nel ruolo di un ragazzo all’apparenza apatico trascinato in un delirante vortice di eventi, offre sicuramente l’interpretazione più riuscita e convincente, adottando un coerente registro di espressioni, stravolto con abilità quando necessario. Più sfacciato, Luca Barbareschi vena il suo personaggio di caratterizzazioni grottesche, che sembrano farlo sprofondare in un fumettistico e alienante delirio di onnipotenza. Sul versante femminile, Valentina Bellè è un’attrice nevrotica ma sensibile, oscurata però da una giunonica Claudia Gerini, protagonista di una sequenza che è già cult.

Lungometraggio visivamente e narrativamente multiforme, Dolceroma mette quindi in scena un racconto strabordante, capace di fondere diverse realtà e di omaggiare un tipo cinema – quello di genere – che si confronta senza paura con un modello produttivo mainstream targato Eliseo Cinema e RAI Cinema. Sebbene le disavventure dello (s)fortunato sceneggiatore potrebbero non piacere ai palati più fini o ai puristi dei B-movies, Fabio Resinaro ha ancora una volta il merito di svecchiare le produzioni nazionali, strizzando l’occhio a una cultura giovane di cui il nostro cinema ha assolutamente bisogno.