La corrispondenza

I mondi creati da Giuseppe Tornatore sono costituiti da luoghi che vogliono essere simboli e sintesi di alcuni dei sentimenti umani primari. È così che una fusione di più paesini siciliani diventa in Nuovo Cinema Paradiso l’immaginario Giancaldo, trasformandosi nel paese natale di noi tutti e che a tutti manca, e l’isola di San Giulio sul Lago d’Orta diviene ne La corrispondenza il suggestivo Borgo Ventoso, luogo dell’assenza, quella di Ed (Jeremy Irons), che dopo un’appassionata frequentazione con Amy (Olga Kurylenko) sparisce lasciando dietro di sé, secondo un determinato ordine, messaggi e video all’amata.

Utilizzare un posto esistente e privarlo del proprio vero nome è un’operazione in linea con l’intento massimo degli ultimi due lavori di Tornatore, cioè quello di sprovincializzarsi e dar vita a opere universali grazie non solo all’uso della lingua inglese ma soprattutto alla neutralità dei contesti. Si tratta però di un processo che è un’arma a doppio taglio, perché basta un punto di troppo di neutralità per far percepire un lieve senso di artificiosità.images2

Va però detto che dietro quest’approccio scenografico al paesaggio c’è il giusto intento di far muovere i personaggi all’interno di uno spazio fuori dal tempo, nel quale la dimensione temporale è appunto sostituita da quella nostalgica, tanto cara al regista di Bagheria, qui ancora più accentuata dalla fotografia fredda di Fabio Zamarion. La nostalgia, d’altronde, è soltanto una delle tante possibili conseguenze dell’irraggiungibilità, e gli ultimi due film del nostro sono racconti riguardanti desideri il cui appagamento è quasi bunuelianamente rinviato e mai davvero raggiunto: così come nel precedente La migliore offerta assistevamo a un’impossibile comunicazione materiale tra un uomo e una donna, qui ci troviamo di fronte all’apparente insensatezza di un amore a distanza in cui l’oggetto del desiderio è sempre più sfuggente e fondamentalmente non disponibile al tatto. E quando qualcosa di fortemente desiderato non viene conquistato, solitamente nel nostro pensiero viene spiritualizzato, reso un’ombra priva di materia.

La-corrispondenza 1Nei film di Tornatore, infatti, i personaggi spesso e volentieri si trasformano in fantasmi, ricordi, a volte proprio in quanto deceduti (come in Una pura formalità). Viene allora a crearsi un rapporto tra i protagonisti e un mondo altro, un effettivo dialogo con un aldilà non religioso ma laico, soprattutto nel caso di questo film, in cui Irons interpreta un professore di astrofisica, dedito in particolare allo studio delle tracce che le stelle morenti lasciano dietro di sé per miliardi di anni, apparendo visibili a noi, terrestri e viventi, nonostante non esistano più. Difatti non sbaglieremmo se definissimo quello di Tornatore un “romanticismo scientifico”, dato che il poetico rapporto tra Amy e il suo amato/stella personale è fondato sugli studi degli astri.

La presenza, invece, delle moderne tecnologie che il professore adopera per comunicare con Amy non serve tanto a contestualizzare il film nella cornice dei nostri tempi ultratecnologici, ma piuttosto a dare al regista un pretesto per confinare la sua protagonista nell’ambito di un isolamento dai tratti masochistici: quanto, ci fa chiedere l’autore, è possibile continuare a farsi del male amando uno schermo, un simulacro, un’immagine sul monitor di una persona amata e desiderata? Quanto è sano? Da parte del professor Ed, che è il “regista” della situazione, c’è forse anche una punta di sadismo nel lasciare che l’amore della sua vita, la “spettatrice”, stia ad attendere, agognante, i suoi segnali, mentre Amy ha in sé una componente masochistica che si esprime metaforicamente – e probabilmente in maniera fin troppo manifesta – attraverso il suo lavoro di stuntwoman, che la fa morire di continuo, anche se per finta.

Questa pulsione di morte è in Amy inconsciamente legata alla convinzione di poter espiare il senso di colpa verso il padre, scomparso a causa sua in un incidente stradale, e non è un caso che il professore prenda la forma di una figura paterna in sostituzione di quel genitore venuto tragicamente a mancare. I due amanti pertanto si compensano e si completano a vicenda: lei vorrebbe annientarsi, annichilirsi nell’illusione rischiando di perdere del tutto il contatto con la realtà, mentre in lui è talmente tanto intenso il desiderio di non morire per continuare all’infinito ad amare/desiderare/vivere, da invocare una volontà di persistenza nel futuro e nella mente delle persone dalle reminiscenze quasi foscoliane.

Alla base di tutto, comunque, c’è il rifiuto dell’idea della fine, la quale viene allontanata temporaneamente soltanto dalla forza del cinema stesso, dalla sua capacità di imprimere su uno schermo dallo spessore quasi nullo – proprio come avviene nei video del professore – simulacri, ombre di esseri umani che vivono e che sono vissuti nella speranza infinita di non essere dimenticati.

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di Andrea Di Iorio,

regista e sceneggiatore