Soldado: Stefano Sollima e il cinema tra Italia e Stati Uniti

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«Passare dall’Italia a gestire un progetto hollywoodiano è impegnativo. Da un certo un punto di vista è come se ricominciassi da capo. Tutto quello che farai te lo dovrai riguadagnare passo per passo. Ma è anche la cosa che lo rende interessante. Sopratutto perché non ho perso quello che normalmente si perde: la specificità.»

L’11 ottobre a Roma Stefano Sollima presenta alla stampa il suo primo film di produzione USA: Soldado. Un action-thriller che riscrive il mito della frontiera sul confine tra Messico e Stati Uniti: un muro che separa il famigerato sogno americano da una feroce guerra tra bande. I cartelli della droga sono al centro del muro. Non sono solo povere anime a pagare per attraversarlo: sembra che anche i terroristi abbiano iniziato a pagare il biglietto. Fermarli è il compito di due antieroi, già protagonisti di Sicario di Denis Villeneuve: l’agente federale Graver (Josh Brolin) e Alejandro (Benicio Del Toro), un uomo che si è scoperto killer dopo lo sterminio della sua famiglia. Il risultato non è quel film prevedibile, smaccatamente americano che molti aspettavano. E’ a tutti gli effetti un film di Stefano Sollima, il regista di A.C.A.B. – All Cops Are Bastards (2012) Suburra (2015) e Gomorra – La Serie.

«In Europa il film parte quasi sempre dal regista. Il presupposto è che abbia un controllo creativo molto più forte. Il sistema è più semplice: un produttore, un distributore, meno parti in causa. In America il sistema produttivo è estremamente più complesso.» Sollima descrive i molteplici attori di questo gioco delle parti: dalla proprietà letteraria agli studios e i loro executives, fino ai distributori esteri. E racconta così il suo principale timore: cedere il controllo, o essere licenziati e rinunciare direttamente al film. «E’ molto più facile perdere il tuo tocco. Ed è il motivo per cui loro ti chiamano. E’ questo il loro talento. Rischi di essere veramente marginale nel processo creativo.»

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Come ha saputo difendersi dai classici cliché del mito della frontiera, ma anche da quel mito della trasparenza, che tradizionalmente si conviene al regista hollywoodiano? Con la sua proverbiale nonchalance, il regista romano risponde: «Penso di essere stato molto insistente. Io non faccio parte di quel mondo, ho il mio. Non dovevamo fidanzarci per forza. Sono stato tranquillo e fermo nelle mie scelte. E ho avuto la fortuna di incontrare dei produttori illuminati, che volevano esattamente quel film, l’hanno protetto e difeso.»

Josh Brolin e Guillermo Del Toro erano già protagonisti di Sicario di Denis Villleneuve (2015). Nella visione di Sollima, Soldado (qui il trailer italiano ufficiale) non è né un prequel né un sequel. Il precedente di riferimento è piuttosto la saga di Alien, dove ogni capitolo corrisponde al cineasta che l’ha realizzato: «L’unico punto di contatto era l’universo narrativo di riferimento e alcuni degli attori. Soldado è un film che puoi tranquillamente vedere senza aver visto Sicario. Mi sono trovato molto a mio agio con il racconto di Sheridan. L’ho trovato subito vicinissimo al mio cinema.»

Ma qual è il vero punto di rottura che separa Soldado dall’esperienza di un film come Sicario? Il punto, per Sollima è l’assenza di uno sguardo morale, ovvero il punto di vista che ammorbidisce la trama audiovisiva del film e soprattutto forza lo spettatore nella lettura della realtà. «In Soldado, per come è costruito il racconto, perdi qualsiasi riferimento tra Bene e Male. I due protagonisti partono per vendicarsi di una strage. Contrastando il male iniziano a esercitarlo. Nessun personaggio è filtrato da uno sguardo morale. Benicio Del Toro è un uomo che ha quasi perso la sensibilità rispetto a quello che vive. Poi si mette contro tutti. Dal punto di vista dello spettatore, non c’è più riferimento. Non c’è niente che ti possa aiutare a digerire il processo. In questo senso certo, è un film provocatorio: nessuno ti guida per mano, quando ti siedi nella sala. E’ un’esperienza abbastanza destabilizzante. Ma è bello, a me piace così.»

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Se la mancanza di una netta e artificiale demarcazione tra Bene e Male vi ricorda le opere precedenti di Sollima, il regista conferma di aver ottenuto pieno controllo su Soldado: compreso un final-cut diverso dallo script iniziale. Il suo specifico linguaggio (oltre al finale aperto ed ellittico) traspare anche dall’utilizzo di una nuova musica apocalittica (quella di Gomorra-La Serie è opera dei Mokadelic) affidata qui all’estro del compositore islandese Hildur Guðnadóttir.

A proposito di attori: Fabrique ha chiesto a Sollima se per caso il personaggio del Segretario di Stato, somigliasse al Soldato Joker di Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, che è diventato grande e si avvia alla carriera di Presidente. Alcuni temi, nell’Americana di Trump, restano all’ordine del giorno. «Sono un grandissimo fan di Matthew Modine. Ho scelto io tutti gli attori, eccetto ovviamente i due protagonisti di Sicario. Quando il film è uscito in America, c’è stato in momento di sgomento. Sembrava un film di attualità. Ma non c’è nessun riferimento reale. Alcuni concetti corrispondono a quelli usate da Trump durante la sua campagna elettorale. Noi avevamo scritto la sceneggiatura due anni prima. Alcuni temi sono nell’aria. Il tema dell’immigrazione non è stato inventato da Trump: esisteva quarant’anni prima, anzi da secoli.»